Piazza Garibaldi, sorta sull’antico foro romano, al centro della città, e sede del Municipio, è stata per tutta l’età contemporanea la piazza politica per eccellenza, lo spazio delle manifestazioni di massa e del confronto pubblico tra i diversi partiti. Dopo la Liberazione, dal balcone del Palazzo del Governatore, di proprietà comunale, si alternarono – scanditi dal calendario delle campagne elettorali – i comizi dei leader delle differenti formazioni, secondo consuetudini e riti condivisi da tutti i protagonisti del sistema politico repubblicano. Un ordine che viene scosso dall’onda conflittuale dei giovani del Sessantotto. Un primo segno di questa rottura della tradizione lo si ha in primavera con le manifestazioni spontanee e non autorizzate del movimento studentesco, che chiamano in causa, additandogli responsabilità e colpe, l’intera classe dirigente, tanto quella al governo del Paese quanto quella alla guida dell’Amministrazione comunale. Evento ancora più eclatante, nel pieno della campagna per le elezioni del 1968, è la contestazione al dirigente del Msi, Giorgio Almirante, che – il 10 maggio – interrompe il suo comizio per le grida e i fischi di studenti e giovani operai. Anche altri oratori, di questo o altri partiti, subiscono le proteste di un movimento radicale e difficilmente comprensibile agli uomini del ceto politico, perché non rispetta le prassi consolidate del confronto e della mediazione democratica. Con il Sessantotto, insomma, Piazza Garibaldi torna ad essere uno spazio di conflitto rigenerante più che di sonnolenta intesa tra i partiti tradizionali.